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Il “caso unMonastery” e la sindrome dello zero a zero

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Qualche settimana fa, un collaboratore di una stazione televisiva locale ha scoperto dei rifiuti abbandonati in una stanza del complesso del Casale, a Matera. Si tratta di scrivanie e sedie da ufficio; materiali da costruzione; bottiglie e latte vuote; e materiali da conferenza, come volantini e poster. Il complesso del Casale ha ospitato, per buona parte del 2014, unMonastery – residenza per hackers europei e uno dei progetti della candidatura vittoriosa della città a capitale europea della cultura 2019. Il reporter ha deciso che il fatto era un “caso”: il caso unMonastery. Questi stranieri vengono a Matera a scaricare le loro immondizie! Vergogna e onta! Non chiudiamo gli occhi per non vedere!

Sono socio e condirettore di Edgeryders, l’impresa sociale che ha montato unMonastery a Matera. Conosco bene il progetto, e conosco gli unMonasterians che lo hanno animato. L’episodio mi è sembrato molto strano: nessuno di loro si sognerebbe di abbandonare rifiuti in un luogo non deputato, e molti sono “riciclatori estremi”. Comunque, ho fatto qualche indagine, e ho scoperto quanto segue:

  1. La stanza in questione (indicata in questa foto) era stata usata come deposito da tempi precedenti al 2013. Nella primavera 2013, facendo le ricognizioni per unMonastery, abbiamo trovato molti di quegli oggetti e materiali già presenti (ecco alcune foto che lo provano. Il timestamp di Dropbox mostra che non vengono modificate dal 2013). È probabile che i mobili per ufficio siano stati abbandonati dal precedente occupante del complesso del Casale, un’azienda chiamata DataContact. Ironia della sorte, il proprietario di DataContact è l’editore dell’emittente locale che ha mandato in onda la trasmissione.
  2. Il progetto unMonastery ha investito oltre la metà del proprio budget (un po’ più di 40mila euro) in una ristrutturazione di una piccola parte del complesso, avvenuta all’inizio del 2014. Risultato: cucina installata; riscaldamento riparato; pavimento al piano inferiore rifatto; intonaci sistemati; allontanamento di alcuni occupanti illegali. Altroché degrado.
  3. A ristrutturazione finita la stanza, chiusa a chiave, ha continuato a funzionare da cantina per il complesso. Durante la permanenza di unMonastery a Matera, gli unMonasterians l’hanno usata per stivarvi oggetti che non volevano buttare, in vista di un riutilizzo futuro via upcycling (per esempio, una latta di conserva di pomodoro diventa un contenitore dove tenere componenti elettronici).

È probabile che qualcuno, nel periodo immediatamente precedente alla trasmissione, abbia forzato la porta (vandalismo?), consentendo al reporter materano il suo scoop.

Conclusione: la cantina del complesso del Casale, come molte cantine, ha un’aria disordinata e contiene oggetti che non sono immediatamente utili ma che nessuno, finora, ha voluto buttare. Qualcuno ha forzato la serratura; verrà sostituita, e questo chiude il caso unMonastery.

O forse no. A me rimane un dubbio: perché la soluzione più ovvia (cioè che una stanza senza finestre al piano terreno piena di cianfrusaglie fosse semplicemente una cantina) non è venuta in mente al giornalista locale? Perché non ha controllato? Chiacchierando con alcuni amici materani abbiamo fatto, un po’ per ridere, tre ipotesi.

  • Ipotesi del giornalista distratto: può essere stata una negligenza, capita. I media locali hanno bisogno di notizie locali, e a volte gli aspetti narrativi prevalgono sulla verifica dei fatti: “hackers stranieri inquinano Matera” è molto più eccitante di “forzata la porta di una cantina che non contiene niente di valore”, soprattutto se per campare devi vendere pubblicità, e quindi contare le visite al sito.
  • Ipotesi dietrologico-politica: il “caso” è il riflesso del clima montante di campagna elettorale. In primavera si vota per il sindaco della città, parlare male (anche a sproposito) di unMonastery e Matera2019 erode il consenso intorno al sindaco uscente.
  • Ipotesi della sindrome dello zero a zero: il “caso unMonastery” è un esempio di quella che il mio amico Annibale D’Elia chiama “la sindrome dello zero a zero”. Noi italiani, dice Annibale, siamo fatti così: non ci importa troppo di vincere, purché non vincano nemmeno gli altri. Zero a zero è un risultato accettabile, anzi in fondo desiderabile, gattopardesco, non cambia nulla, non sposta equilibri, consente di continuare come prima. E invece a Matera, negli ultimi anni, si è giocata una partita importante, e la si è vinta, senza se e senza ma. Questo crea risentimento e forse paura di essere lasciati da parte in quella fetta di popolazione materana che non ha creduto nella candidatura, il popolo del “ma volete mettervi contro Venezia e Ravenna? Pensate invece a pulire le strade!”. Paura, del resto, ingiustificata: lo stile di Paolo Verri nel dirigere la candidatura è stato sempre assolutamente inclusivo, porte aperte per tutti, la vittoria è di tutti, e così via.

Non ha senso stare a chiedersi troppo quale delle ipotesi sia vera nella genesi del “caso unMonastery”; davvero non è una cosa importante, non è il caso di perderci tempo. Ha invece senso – e non solo a Matera, ma dovunque – individuare i focolai di sindrome dello zero a zero, e cercare di contenerli. Non per sopprimere la critica o non disturbare il manovratore: al contrario, per avere molti progetti di sviluppo concorrenti per ciascun territorio, e non uno solo. Se non vi piace l’idea di fare la capitale europea della cultura, proponete qualcos’altro, e cercate di creare intorno a voi la massa critica per realizzarlo; e poi, vinca il migliore. Tra l’altro non è necessario che il migliore sia uno solo, anzi! Se fossero molte iniziative a vincere, anziché una sola, ne guadagnerebbero tutti.

PS – Mentre scrivo, unMonastery è su Wired Germania; l’articolo parla di Matera in termini fortemente positivi. Anche a prototipo chiuso, unMonastery continua a contribuire al profilo internazionale della città, e quindi alla sua prosperità.


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